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I quattro fattori del digital divide

Da qualche tempo ho notato che ho fortemente modificato il mio modo di accedere alla rete, o di esserne penalizzato per la mancanza di qualche costosissimo dispositivo.

Quando penso al "divario digitale" mi è abbastanza immediato valutare due sole carenze "strutturali": hardware e rete — i due elementi indispensabili per accedere a internet, dove per hardware è facile figurarsi un PC desktop, un notebook o un netbook economico.

La mia vita è però cambiata all'arrivo di uno smartphone nelle mie tasche: accedere alla rete dal supermercato o in coda sulla tangenziale per me è stata obbiettivamente una rivoluzione epocale. Prima odiavo programmi tipo Instagram e non capivo l'utilità di Twitter. Oggi, senza, sarei perso: controllo qualsiasi tipo di informazione, la mia posta, mappe stradali, prezzi e dati aggiuntivi. Vedo un libro interessante in libreria e prenoto direttamente il ritiro presso la mia biblioteca. Non conosco il titolo di una canzone alla radio e con 4 click scarico il brano direttamente sul mio telefono. Prendo nota con la tastiera e fotografo qualcosa che mi interessa, per poi spararlo chissà dove sulla rete e riprenderlo poi con calma.
Raramente consulto una voce di Wikipedia dal telefono cellulare e non mi sognerei di leggere un ebook su uno schermino da 320 x 240 pixel mentre aspetto il mio turno dal medico curante: le necessità soddisfatte da una connessione mobile di questo tipo sono molto più terra-terra.

Le code in posta sono diventate quasi piacevoli, il traffico non mi spaventa più: la mia routine quotidiana è certamente cambiata in meglio.

Se quindi da una parte la rete broadband permette di sfruttare la rete "degli approfondimenti", la rete mobile è imbattibile per risolvere i banali problemi di ogni giorno. Sono da considerarsi quasi 2 reti diverse, che accedono a due tipi di informazioni separate in modi completamente differenti: da una parte c'è un browser accentratore, dall'altra milioni di app frammentate.

Una persona con uno smart-phone è più "smart" di una persona che non l'ha, c'è una disparità, c'è una divisione: questo non accade in chissà quale remoto angolo del terzo mondo.

Non è un handicap non è generazionale: è solamente una questione prettamente economica.

Chiunque — se economicamente potesse — comprerebbe uno smartphone di fascia alta, e sono certo che ognuno imparerebbe ad utilizzarlo al meglio delle sue esigenze e necessità.

Alla connessione broadband e all'hardware si aggiunge quindi un terzo elemento che genera un divario digitale, la connessione mobile. Ma c'è un quarto elemento che potrebbe creare problemi ed è la grafical user interface.
Ci facevo giusto caso con mia figlia, 5 anni, informatizzata quel che permette l'età attraverso mouse e trackpad di un netbook e di un joypad della nostra PlayStation casalinga. A volte l'ho affidata ai giochi di poissonrouge.com o di nickjr.com, il concetto di "punta-e-clicca" l'ha capito al volo. Sulla PlayStation ha giocato qualche volta con Flower, scoprendo che il movimento del suo corpo genera un evento sulla TV di casa. In ogni caso lei — cresciuta in un ambiente fortemente informatizzato — non aveva mai avuto l'occasione di utilizzare un tablet touchscreen.

A differenza di un PC, di un notebook o un netbook, i tablet sono fortemente orientati verso la consultazione o la lettura. Anche solo per un fatto di pesi ed ingombri spero che un tablet sarà l'unico "libro" nello zaino di mia figlia, il suo unico quaderno, diario, vocabolario.

Scolasticamente un tablet è imbattibile: è possibile aumentare o ridurre la grandezza dei caratteri, consultare il dizionario se non si capisce un termine, e non esisterebbero le versioni di libro che di anno in anno — a settembre — sono la dannazione del portafoglio dei genitori. Un click e il libro avrebbe informazioni aggiornate. Un click e potrebbero essere mostrati video o suoni. Un click e un disabile potrebbe accedere a funzioni a lui dedicate.

Ok, lo ammetto, a mia figlia sono bastati 2 minuti di Fruit Ninja perché lei capisse il nuovo modo di approcciarsi al mondo tattile e snobbare immediatamente il mouse, il trackpad e la tastiera fisica.

Purtroppo i tablet e gli ebook costano ancora molto, ma penso che potrebbero fare la differenza nell'accesso alla conoscenza. L'ennesimo prodotto hardware che però utilizza un'interfaccia completamente differente, ancora sconosciuta ad una gran fetta della popolazione.

C'è solo che il quarto prototipo del one laptop per child abbia anche uno schermo multitouch.

ifttt

9gag

Sam Spratt

Duemiladuecento chilometri via web

Devo ammettere che la storia di Paolo De Guidi mi ha affascinato come non capitava da un po'.Ha deciso infatti di percorrere (a piedi) la distanza tra Terni e Cambridge — qualcosa intorno ai 2.200 chilometri.
Ripeto, a piedi.Ok, non è certamente paragonabile alla storia di Alexander Supertramp, però diciamocelo, lasciare un lavoro per intraprendere una sgambettata tutt'altro che raminga dal centro Italia fino in Inghilterra — per raggiungere la fidanzata che lavora a Cambridge — nell'era delle superofferte Ryanair è qualcosa di quantomeno insolito.Duemiladuecento chilometri reali, non con la Wii Fit.E ammetto anche che un po' lo invidio. Io non lo farei mai, però mi coccola l'idea di sapere che c'è gente che ancora è capace di stupire e stupirmi.Paolo nella sua avventura incontrerà centinaia di persone che lo ospiteranno nel tragitto di poco meno di 100 tappe, cento giorni in cui attraverserà l'Italia, la Svizzera e la Francia per approdare in Gran Bretagna (in nave, mica a nuoto).Questo vagare è qualcosa di concreto, reale: lui ora si trova in Svizzera, per dire — esattamente a metà percorso. A volte ha qualche dolore alle gambe, altre volte si ritrova a camminare a -9 gradi. A volte si beve un bel bicchiere di vino in compagnia di perfetti sconosciuti che gli apriranno la porta di casa per una doccia e per riposarsi.Eppure tutto il suo viaggio è incredibilmente impermeato di web: ha pianificato il tragitto con Google Maps, ha trovato sponsor tecnici grazie alla rete, tiene un blog su Wordpress, aggiorna il suo status di Twitter, pubblica foto su Flickr e video su YouTube, si accomoda su divani trovati grazie a CouchSurfing: ha messo in moto un meccanismo molto virtuale per risolvere semplici e complessi problemi reali — e permette di seguire il suo tragitto ad appassionati e curiosi attraverso la rete stessa.A volte queste storie servono a me (e spero a molti altri) per riallacciare un rapporto concreto con la rete: dove persino i pizzicotti sono virtuali e dove un server perduto nelle campagne statunitensi si permette di avvisarci che dovremmo "essere anche amici di", l'avventura di Paolo mi ha ricordato di quanto è possibile fare e organizzare concretamente grazie al Web.

Les Liens Invisibles

Interessante gruppo italiano di artisti digitali.