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16esima SuisseGas Milano Marathon - Milano (MI) - 42,51 km.

16esima SuisseGas Milano Marathon - Milano (MI) - 42,51 km.
A volte le maratone vanno male. Ho avuto i crampi addominali e vomito dal 26esimo chilometro, non ce l'ho fatta a reagire e me la son presa con calma, alternando camminate e corsetta, fermandomi con la dovuta pazienza ad ogni ristoro e spugnaggio. Peccato. Tra un mese però ne ho un'altra e ci lavorerò sopra! :-)

Tutto per una frazione di secondo

Sapete quanto impegna correre una maratona? Ve lo dico io, il conto è salatissimo.

Voi vedete solo il secondo finale, il momento cristallizzato in una fotografia orgogliosamente condivisa su Facebook che ritrae uno troppo vecchio e troppo grasso, certamente sofferente, che attraversa un traguardo vestito come un cretino.

Quel coglione che voi vedete sorridente in foto avrà dolori per tutta la settimana, camminerà in maniera imbarazzante per giorni minimizzando l'accaduto e maledicendo le scale. Lui non è un professionista, è quanto di più distante dal concetto di campione:  nel momento in cui il fotografo ha pigiato il tasto per immortalarlo i fuoriclasse sono arrivati da almeno un'ora e sono già nella loro confortevole e calda camera d'albergo.

Lui invece è lì, eccolo un secondo prima del traguardo. Dovrà strapparsi i cerotti dai capezzoli perché altrimenti sanguinano come una madonna addolorata, dovrà lavarsi il sale seccato quasi in granelli sulla pelle sotto una doccia sicuramente fredda. Avrà il corpo ricoperto di vaselina ma non abbastanza per non avere almeno una abrasione da sfregamento in qualche posto impensabile. Dovrà bucarsi qualche fiacca o vescica. Ha seriamente corso il rischio di cagarsi addosso senza rendersene conto.

Nessuno ricorderà mai il suo nome o il suo tempo. E' talmente uno sport di nicchia che non ci si ricorda manco di chi vince, figurarsi se si memorizza uno che è arrivato al seicentesimo posto.

Tanto a lui non importa. I pensieri ora sono altri.

Quello stupido avrà scongiurato ogni tipo di infiammazione. Bandelletta ileotibiale, caviglie gonfie, borsite, stiramenti, crampi, fascite plantare, dolori intercostali, emorroidi. Se è fortunato avrà qualche unghia del piede che è diventata nera, gialla o rossa. Se è sfortunato se le trova staccata dal dito, ritrovandola direttamente nel calzino.  Un po' come le donne dopo il parto: tempo qualche settimana e perderà il ricordo di quasi tutti i dolori.

Il nostro si sarà cambiato al freddo nei posti più improbabili, ammassato come una bestia da macello in mezzo ad altri. Avrà pisciato o cagato in qualche latrina chimica maleodorante poco prima di partire, si sarà svegliato alle 5 di mattina facendo una colazione terribile solo perché da qualche parte ha letto che le barbabietole rosse e il cioccolato fondente possono fare qualcosa, oltre che schifo.

Avrà fatto code pazzesche da automobilista mentre da podista sarà stato mandato affanculo dagli altri automobilisti. Avrà ingurgitato shottini gelatinosi e stucchevoli pieni zuccheri raffinati pagati a peso d'oro, avrà dormito malissimo angosciato dalle paure e dai dubbi. 

Perché che tu sia un amatore o un professionista poco importa: alla partenza non avrai la matematica certezza di arrivare alla medaglia. Troppe variabili, troppi inconvenienti. Basta un tombino, uno spintone o un rifornimento sbagliato.

C'è un altro sport con un traguardo così incerto?

Per questo si sarà allenato fino alla nausea, almeno 10 chilometri al giorno, tutti i giorni. I professionisti ne corrono tranquillamente 50, ma a differenza di loro il nostro amatore avrà fatto i salti mortali pur di trovare un ora tutta per lui, fuori dall'orario lavorativo o dagli impegni familiari. A costo di alzarsi all'alba o andare a correre dopo la mezzanotte.

Tutti i giorni. Su strada, magari nelle tristi zone industriali. O nel fango.

Da perfetto bipolare avrà guardato poi con ammirazione qualche podista senza pensare che anche lui un paio d'ore prima stava correndo sullo stesso identico e odiato tragitto.

Poi la domenica mattina il chilometraggio raddoppia, qualsiasi tempo ci sia.

Sì, perché lui non fa caso al meteo. Anzi no, ne è un fine conoscitore. Perché le stagioni davvero non sono tutte uguali: quel babbeo ora sa distinguere quanto vento, quanto freddo, quanto caldo o umidità c'era rispetto al giorno prima. Sa cosa significa correre sotto la neve, la pioggia, la grandine. Ha imparato cosa è la galaverna.

Consulta frequentemente i siti meteo, ma tanto va a correre lo stesso in qualsiasi caso.

Sarà stato inseguito almeno una volta da un cane randagio.

Avrà comprato guanti, manicotti, maglie tecniche, berrette, imbarazzanti pantacollant in lycra, corsari, orologi GPS, scarpe da corsa. Tante scarpe.  

Il dettaglio più incredibile è che ha pure pagato per correre 42 chilometri.

Perché allora lo fa? Chi glielo fa fare?

Davvero, ora come ora non ne ho la più pallida idea.  Pensando a questo conto ogni ragione immaginabile non pesa quanto l'altro piatto della bilancia.

Forse siamo solo pazzi. Certamente maniacali, fissati coi tempi, le tabelle, i gadget.

O magari bisogna solo guardare bene la foto dell'arrivo, perché le ragioni non si sapranno mai fino in fondo, ma certamente tutto questo lavoro è stato fatto proprio per quell'esatto momento, non un secondo prima, non un secondo dopo.

E a volte ti girano pure le palle per mesi perché il fotografo ha scattato una fotografia di merda.