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22/11/'63

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Benvenuti nell'era dell'idiozia collettiva

Per giustificare a mia madre la bolletta telefonica negli anni '90 dovevo per forza giocarmi la carta della nascente cultura digitale: non che fosse una bugia, Internet era solo questo — un traballante e costosissimo sistema di scambio di pochissime informazioni tra immagini che stentavano a caricare, Trumpet Winsock e un intricato labirinto di newsgroup, web-chat e IRC.

In pochi mesi però avevo in effetti imparato a scrivere in inglese meglio che in tutti gli anni di scuola dell'obbligo, avevo conosciuto tantissime comunità di appassionati — di film, di musica, di serie TV, potevo sentire le radio di tutto il mondo: tanto mi bastava per sentirmi appagato e completato.

Ero un essere umano — anche se di poco — migliore, che cercava un piccolo riscatto dalla vita di provincia per raggiungere (seppur virtualmente) il resto del mondo.

Ricordo che ai tempi il WWW era una rete pressoché egocentrica: tutto ruotava intorno al navigatore — che, con palesi riferimenti nautici introdotti da Netscape — doveva surfare il web alla ricerca di ciò che gli interessava. Il superuomo al centro di tutto, l'Ulisse che naviga — ci siamo capiti. Non si cercavano opinioni: si inseguivano fatti e notizie, informazioni concrete.

Ai tempi nessuno sano di mente avrebbe mai speso tempo e denaro per guardare i nostri selfie.

Tutto andava incredibilmente bene: cercando una debolezza del sistema forse mancava il real-time, era tutto asincrono. Potevi avere la risposta che volevi ma dovevi aspettare qualche minuto o qualche ora, e l'acronimo IMHO (in my humble opinion) era ancora usato con parsimonia.

Poche opinioni, tante informazioni in differita.

L'overload di informazioni e la democratizzazione della rete

Sono bastati pochi anni per perfezionare e rendere disponibile *immediatamente* questa intelligenza collettiva e fruibile da una saponetta di vetro nero: Google, Wikipedia e Siri possono rispondere a qualsiasi nostra curiosità, ora, adesso, in questo istante.

Quando è morta Marilyn Monroe? Come si fa un'assonometria isometrica? Quanto è la distanza tra Venezia e Rovaniemi, a piedi?

Improvvisamente siamo diventati intelligenti e acculturati per procura: con un telefono in tasca oggi possiamo sapere davvero tutto.

Ma.

Ma qualcosa è decisamente andato storto: il real-time ha fatto sì che le informazioni utili lasciassero spazio ai commenti: pochi battiti di ali di farfalla e internet è diventata la sagra del superfluo.

Internet non funziona più. Un tempo pensavo che, se avessimo dato a tutti la possibilità di esprimersi liberamente e scambiarsi idee e informazioni, il mondo sarebbe diventato automaticamente un posto migliore. Mi sbagliavo. — Evan Williams, uno dei fondatori di Twitter

Le reti sociali sono diventate un fenomeno di massa e con esse è arrivato l'orgoglio ignorante: Internet è sempre stato quel posto talmente vasto da poter dare spazio a qualsiasi idiozia apparentemente senza provare alcuna vergogna.

Come si è arrivati qui?

Rete globale? No, reti sempre più piccole

In primis perché si è tornati alle reti sociali di provincia: il nostro palco digitale si è via via ridotto ai nostri contatti WhatsApp e alla nostra cerchia di amici di Facebook. Non ci interessa più comunicare con un contadino aborigeno, il nostro target di riferimento negli anni è diventato il vicino di pianerottolo.

Internet quindi si è suddiviso in reti sempre più piccole ma tutte raccolte nel giardino recintato di Zuckerberg, in cerchi talmente familiari in cui una sonora stronzata non viene contestata perché chi è all'ascolto non è altro che un parente stretto che considera l'uscita infelice quella proferita dal picchiato della stirpe. Anzi, mettiamoci il like che magari sta zitto per un po'.

Il silenzio, la nuova forma di comunicazione

Il fact-checking non serve più: la terra è piatta, i vaccini fanno male, i rettiliani sono tra noi. Qualsiasi teoria diventa vera per definizione: se qualcuno mi ha inoltrato che questo tizio è un pedofilo è certo che lo sia, me lo dice una persona fidata.

Se lo volessimo potremmo smontare qualsiasi teoria complottista o bufala: difficile farsi fregare o farsi trovare impreparati su un congiuntivo, abbiamo il fact-checking direttamente in tasca.

E se avessi un dubbio? O se sapessi che per certo quanto riportato è una cazzata? Che farei? Probabilmente nulla.

Mugsy
Mugsy, una delle icone del web ignorante

Perché nella nostra piccola rete provinciale non si ha più il coraggio di dire "che stronzata stai dicendo?", abbiamo paura di trascinare il litigio nella vita reale, di portare il flame sul posto di lavoro, di dover difendere la nostra opinione anche al bar: chi ci legge, chi ci mette il like sulla foto su Instagram e chi ci cuora in una chat di WhatsApp è gente che purtroppo frequentiamo davvero.

È uno scenario apocalittico: preferiamo fare la pausa pranzo con un webete che magari sputa sentenze razziste e omofobe scrivendo con le K al posto delle CH piuttosto che alzare il ditino e smontare ogni sua credenza, avallando di fatto queste sue stupide certezze.

I social danno diritto di parola a legioni di imbecilli — Umberto Eco

I professionisti non sono più tali perché con uno smartphone possiamo dimostrare tutto e il contrario di tutto: all'occorrenza nascono stuoli di sismologi, epidemiologi o un esperti balistici, certi di essere smentiti solo da altri perfetti sconosciuti, perché facciamo fare il lavoro sporco a Burioni o Mentana che blasta la ggente.

Noi comuni mortali al massimo silenziamo chi ci inoltra bufale senza un minimo controllo sulla fonte (la sedicente polizia postale) perché è la stessa che parcheggia l'auto di fianco alla nostra. La stessa gente che ci offre un kafféé virtuale, che ci augura un buongiornissimo sulla timeline e che ci dice SVEGLIAA!!!1! perché non crede che l'uomo è andato sulla luna.

Mossi da ignoranza o malafede, per credo politico o per noia: probabilmente ci sono sempre stati, hanno trovato solo uno strumento per palesarsi. Il tacito silenzio invece è una nuova corrente di questi anni: spara pure tutte le stronzate che vuoi, saremo pure "amici" ma tanto non ti leggo, ti ho silenziato, semplicemente ti ignoro.

This is for everyone — Sir Tim Berners-Lee, coinventore del WWW

È questa "convivenza pacifica" che ha trasformato il "buonismo" in un termine negativo, che ha rovinato vite o che ha rallentato la scienza o il riconoscimento dei diritti umani: oggi non c'è più niente da perdere se rivendichiamo digitalmente il nostro orgoglio fascista, complottista o più semplicemente ignorante.

Male che vada la cerchia di amici guarderà da un'altra parte, diventando e facendo diventare tutti più superficiali e stupidi: tanto ormai comunichiamo solo attraverso emoticon che manco rappresentano davvero il nostro stato emotivo.

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Le frange terroristiche non usano Facebook

Ieri sera, mentre guardavo il TG, il nostro Presidente del Senato Renato Schifani ha paragonato gli ormai famosi gruppi di Facebook sul lancio del souvenir in faccia a Silvio Berlusconi a certe sigle estremiste e violente degli anni '70.


Le opinioni spese in questi giorni a riguardo sono tante e tutte diverse: c'è chi dice che la rete è solo un medium e chi dice che insomma, la spazzatura c'è e si vede, e che forse un giro di vite (qualsiasi cosa significhi) sarebbe il caso di attuarla.Ricordo che da piccolo mio padre tornava a casa dall'ufficio con delle vignette umoristiche ricevute attraverso i primi fax e telex e poi fotocopiate da collega a collega. 

Nei tempi in cui le tangenti erano chiamate bustarelle queste primitive strisce, palesemente amatoriali, erano satira self-made spedita e "viralizzata" coi mezzi che c'erano.

Oggi niente è cambiato: una battuta fatta tra colleghi, o sentita al bar " viene trasmessa solo in modo più veloce e capillare attraverso gli SMS, o gli status dei social network, o ancora con la voce, alla macchinetta del caffè " e poi successivamente ampliata, perfezionata, trasmessa da un non-luogo verso gli schermi di tutti i conoscenti connessi.

Al bar — il giorno dopo l'attentato a Silvio Berlusconi — non c'era persona (di qualsiasi schieramento politico, sia chiaro) che non abbia anche solo minimamente ironizzato sull'accaduto: perché se è vero che nessuno è così barbaro da scagliare o avvallare il lancio di un modellino sulla faccia di qualcuno è vero anche che, vuoi per l'esuberanza del nostro Presidente, vuoi proprio per il simbolo della "sua" città piombatogli in faccia, vuoi perché alla fine "non è morto nessuno" la battuta era facile, troppo facile. Certo, di bassa lega, ma l'occasione era ghiotta per chiunque.

Un modellino di Duomo non è una torta di panna — taglia labbra, spacca denti: ma chi ha scherzato deve per forza essere un estremista o un violento? Non credo proprio. Ma anche se lo fosse questo non è un problema della rete o di Facebook. L'unica differenza che noto è che tutte le conversazioni dentro la rete possono essere in qualche modo tracciate, analizzate, controllate, monitorate — o, per dirla in breve — intercettate.

I fax umoristici che riceveva mio padre no, e lo stesso vale per le battute da bar.Paradossalmente questa strana forma di libero controllo spaventa i nostri politici, ed è assurdo: sapere che 10.000 persone criticano aspramente una cosa sul web non è poi tanto diverso dal sapere che 10.000 persone lo fanno davanti ad un cappuccio e un cornetto.
Chi ne sta fuori spesso ne ha paura (mia madre mi ha telefonato per assicurarsi che io non fossi iscritto a "quei gruppi" sull'internet), e lo stesso vale per la nostra attuale classe politica. 

Nessun "illuminato" censurerebbe anche solo minimamente un mezzo del genere.I gruppi di Facebook a differenza del bancone del bar conteggiano, mostrano dati, cifre, nomi e foto.

Per i politici il web dovrebbe essere una immensa urna elettorale aperta 24 ore su 24, il modo più economico, immediato e potente per conoscere gli umori del popolo " certamente qualcosa che non si può regolarizzare con 4 filtri DNS e una palata di censura.

Il web è molto più trasparente e cristallino di tante altre forme di comunicazione, ma ha un carattere decisamente meno malleabile. Che sia questo il problema?