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E' la storia di uno, di uno regolare che poi l'hanno mandato a fare il militare

Era il 1996. Ai tempi imperversavano le Spice Girls, Ligabue poco prima aveva inciso Buon Compleanno Elvis e anche in Italia presto sarebbe esploso il successo di Alanis Morrisette con il suo album d'esordio: Jagged Little Pill. Era l'anno de Il Miglio Verde di Stephen King, venduto a capitoli, mese per mese, direttamente in edicola.

Internet era un acerbissimo mondo esotico dalla roboante velocità di 56Kb — a essere ottimisti — e collezionavo morbosamente floppy disk di Video On Line regalati nelle riviste e nei primi centri commerciali. Ero uno sfigato ma mi piaceva così.

Avevo quasi 20 anni e dovevo partire per il servizio militare. Orfano di padre: era il mio lasciapassare per essere trasferito in una caserma vicino casa o addirittura essere esonerato, la mia chiamata forse era un errore, una pacca sulla spalla ed ecco il congedo.

Ci scusi Sig. Blini, è stato uno sbaglio ma ci siamo chiariti, vero?

Le cose ovviamente andarono diversamente.

Fui mandato a Udine alla temutissima Caserma Spaccamela, esattamente 352 chilometri da casa e tutti da farsi su un treno locale con altri marmittoni come me, stipati come vacche al macello, ma almeno il biglietto era (quasi) gratis.

Era il rutilante mondo del CAR, che diciamocelo, è stato in genere il mese più brutto della vita di ogni uomo — perché escluse malattie, lutti e disgrazie che la vita solitamente ci riserva nessuno può dire di aver passato bene questi 30 giorni senza alcun minimo e vago contatto umano. Giorni fatti di sveglie assurde con l'obbligo di sbarbarsi in 5 minuti in un bagno con 50 persone fino a procurarsi piaghe sul viso — il tutto con ragazzini che urlavano nelle orecchie solo perché avevano ricevuto il potere divino di un baffo da caporale.

E poi le marce sotto il sole o la pioggia — vestiti come cretini: PA-SSO tump PA-SSO tump PA-SSO tump CADENZA tump tump tump.

Una dimensione assurda: guanti bianchi e basco nero su ragazzini da ogni parte d'Italia e di ogni estrazione sociale, e tutti sconosciuti l'uno con l'altro. Di corsa, pronti ad adorare una bandiera, reggendo un fucile e fare una laboriosa quanto inutile coreografia militare da ripetere ogni fottutissima mattina per 365 giorni sotto qualsiasi avversità meteorologica.

Questo era il lavoro di ogni giorno: il poco tempo libero lo si passava in coda alla cabina telefonica con qualche spiccio in mano solo per aver l'occasione di fingere con quelli a casa che tutto andava bene. Non andava niente bene.

Ma era solo per un mese, sarei sopravvissuto: sarei stato certamente rispedito non dico a Bergamo ma almeno in Lombardia, la mia Lombardia. Ne ero certo, niente poteva andare peggio di così.

E invece andò peggio di così.

Fui trasferito ancora più a est, praticamente sul confine sloveno: la ancor più temuta Caserma Giovanni Amadio, Cormòns. A Udine ne parlavano peggio di un girone infernale, chi finiva lì sarebbe impazzito per altri 11 mesi.

Ero devastato. Ricordo che quando appresi la notizia mi era mancato il respiro. E poi ero in Friuli, che cazzo c'è in Friuli, era il buco del culo del mondo. Mandi mandi, almeno sforzatevi di parlare italiano!

Sono passati 22 anni da allora.

Ho imparato ad amare il Friuli, ho preso una cotta per Palmanova, per Gorizia, per Trieste. Per Cormòns e persino per la caserma. Pensavo a quanto erano sfigati i caporaletti della Spaccamela, loro sì che si son fatti il culo a capanna per il resto dell'anno in una città davvero militarizzata. Perché ovviamente la severità paventata della caserma Amadio era una bufala, fondamentalmente si stava bene — eccetto le assurdità della vita militare, ovvio.

Fratelli che probabilmente non vedrò più
Fratelli che probabilmente non vedrò più

Ho conosciuto gente fantastica che si chiamava "fratello", ho incontrato ristoratori eccezionali che hanno spiegato ad uno sbarbato con la fissa per la birra che esisteva il vino, quello buono. Non era pelosa gentilezza, davvero, non mi sono mai sentito fuori luogo, lontano da casa.

Provai gusti diversi, cibi eccezionali. Tutto il tempo libero lo dedicai a girare, sempre in treno, tutti i paesi e le città più vicine. Ricordo ancora il cielo di Trieste, così diverso dal nostro.

E se devo essere sincero un po' mi manca tutto questo bel Friuli o forse mi manca quello che è stato per me, il posto dove ho imparato a cavarmela da solo, a crescere un po'.

Domenica prossima parteciperò ad una maratona che parte da Cividale, passa per Palmanova e arriva a Aquileia. I canonici 42 chilometri con l'eccezionalità di vivere una corsa tra 3 siti Unesco.

E ovviamente il giorno prima — se i tempi me lo permetteranno — passerò a Cormòns, la mia Cormòns. Scoprendo mio malgrado che la caserma è in stato di abbandono da decenni e quasi completamente abbattuta. Noterò che molti dei bar e ristoranti hanno cambiato gestione o hanno chiuso definitivamente.

Perché i militari ne avevano cambiato momentaneamente il tessuto economico, immagino che ora tutto sarà tornato sonnacchioso, provinciale e borghese.

La caserma abbandonata
La caserma abbandonata

Ora sono qui, con quel gusto in bocca, quell'attesa, quel piccolo nervosismo — un po' per la gara, un po' nella possibile delusione di constatare che gli anni sono passati sia per me che per il paese che mi ha così calorosamente ospitato.

Non potrò bere vino per via della maratona, ma qualcosa mi porterò sicuramente a casa.