Ciao Don

di @lucianoblini ♦ Tempo di lettura stimato: 1 minuto

Quando ero un ragazzino — praticamente più di 30 anni fa — nei paesotti di provincia come il mio non c'erano chissà quali possibilità.

C'erano gli scout, "l'atelier" (che era un punto di ritrovo organizzato dal comune) e l'oratorio — ai tempi gestito da un giovane Don Francesco Spinelli. Era un magico posto dove i ghiaccioli costavano 200 lire e i Super Tele erano tanto gratis quanto erano loffi e sgonfi, comunque capaci di crepare il cemento armato dei muri.

Si dice che Don Francesco aveva fatto un mezzo miracolo: i ragazzi e le ragazze che frequentavano quel casermone e quel vecchio campo da calcio in sabbia erano centinaia — un numero davvero incredibile. Alcuni arrivavano persino dai paesi limitrofi, diverse esperienze e estrazioni sociali, ognuno probabilmente voleva solo trovare un'alternativa alla noia della domenica pomeriggio e sentirsi meno solo.

Don Francesco era il "prete palloso che ci dava da fare".

Ci aveva fatto scoprire la maestosità delle Orobie e i suoi rifugi e ci declamava le bellezze del suo paese natale (l'esotico Bondo Petello — frazione di Albino), ci prendeva a schiaffoni supersonici dicendo che era potente "la mano di Dio".

Era amatissimo e odiatissimo, non c'erano mezze misure.

Era una presenza ingombrante, asciutta, giudicante, spesso severa: come tanti figli facevamo a gara per avere la sua approvazione, ma a differenza di un padre — a volte — essa ci veniva negata, e non ho mai veramente capito perché.

Don Francesco da ieri notte non è più con noi. Non ho mai avuto l'occasione di incontrarlo in tutti questi anni, ha cambiato un bel po' di parrocchie: eppure so che mancherà a me e a tantissimi altri.

Stamattina credo di aver semplicemente capito che più che un surrogato di genitore Don Francesco era la guida alpina che ci ha accompagnato su un sentiero impervio e faticoso, per arrivare là, al rifugio tanto agognato.

Trent'anni e quel branco di scappati di casa è diventato adulto, ognuno coi propri pesi sul cuore, i successi e i fallimenti. Siamo diventati uomini e donne, ognuno è arrivato dove ha potuto — cercando di essere la migliore versione di sé. Qualche sbucciatura ma eccoci qui: siamo quel che siamo — e quel poco o tanto è stato anche grazie a lui che ci ha guidato con pazienza, concisione e qualche sganassone.

 

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